di Rosalba Diana
In prima ci chiamavano Remigini, perchè la scuola iniziava il primo di ottobre, San Remigio.
Grembiule nero, colletto bianco, e fiocco: azzurro per i maschietti, rosa per le bambine.
C’era la maestra, e, spesso, anche il maestro.
Ne avevamo uno solo per classe e, misteriosamente, riuscivamo ad imparare a leggere e scrivere praticamente tutti entro Pasqua, e anche ad eseguire le addizioni e le sottrazioni. Divisioni e moltiplicazioni si facevano in seconda.
Se c’era qualcuno che non ce la faceva, restava in prima, e così via ogni anno.
Si fermava e rifaceva le cose che non aveva capito; spesso un anno di sosta aiutava a ripartire con basi solide, senza restare spaesati per sempre e con lacune insormontabili.
A scuola non si parlava di clima o di inquinamento, meno che mai di gender o carriera alias, però sapevamo la differenza fra perifrasi e parafrasi, cos’è un’ipotenusa e cos’è un cateto. Sapevamo recitare tutta “A Silvia” e “La cavallina storna” e sapevamo spiegare il significato dei versi.
La maggior parte di noi, arrivati in quinta, faceva un dettato di quattro facciate con , al massimo, un paio di errori rossi.
Conoscevamo tutte le città italiane e i capoluoghi di regione, fiumi laghi monti della Penisola.
Anche le capitali Europee, e i nomi e le localizzazioni dei continenti.
E il tutto in quattro orette la mattina
E le chiamavano “elementari”
- Il sistema scolastico arrivava da qualche secolo di esperienza di persone di grande livello, ad esempio il filosofo Roberto Ardigò, poi quattro cialtroni, che a scuola passavano il tempo dietro la lavagna e una banda di ignoranti, ha “pensato” di migliorarala… E i risultati si vedono… (ndr)